lunedì 1 dicembre 2014

August in Tokyo di Nakagawa Ryūtarō (2014)

A questo indirizzo, trovate una mia recensione di Ai no chiisana rekishi (愛の小さな歴史, August in Tokyo) di Nakagawa Ryūtarō, un film sul caso, sul dolore e sulla speranza diretto da un giovanissimo regista.

Bon Lin di Kobayashi Keiichi (2014)

A questo indirizzo, trovate una mia recensione di Bon to Rin-chan (ぼんとリンちゃん, Bon Lin) di Kobayashi Keiichi, un film ambientato nel Giappone pop, rappresentato però con stile realista.

Hōzuki-san chi no aneki di Imaizumi Rikiya (2014)

A questo indirizzo, Una mia recensione di Hōzuki-san chi no aneki ( 鬼灯さん家のアネキ) di Imaizumi Rikiya, tratto da un manga yon-koma di Igarashi Ran.

The Buried Forest di Oguri Kōhei (2005)

A questo link potete trovare una mia scheda di Umoregi (埋もれ木, The Buried Forest) di Oguri Kōhei, regista poco prolifico ma autore di opere straordinarie.

giovedì 2 ottobre 2014

Birthright (Hashimoto Naoki, 2010)

A questo link, trovate la mia recensione, scritta per Sonatine, di Saitai (臍帯, Birthright) di Hashimoto Naoki. Alla fine scrivo che non mi ha entusiasmato pienamente ma, rileggendo la recensione, devo dire che un po' di entusiasmo traspare.

giovedì 11 settembre 2014

The Cowards Who Looked to the Sky (Tanada Yuki, 2012)

A questo link, trovate la mia recensione, pubblicata su Sonatine, di Fugainai boku wa sora wo mita (ふがいない僕は空を見た, The Cowards Who Looked To the Sky) di Tanada Yuki. Non uno dei migliori film della regista, ma comunque apprezzabile. 

mercoledì 10 settembre 2014

Pet Peeve (Nagae Toshikazu, 2013)

A questo link, trovate la mia recensione, pubblicata su Sonatine, di Fuan no tane (不安の種, Pet Peeve) di Nagae Toshikazu, tratto dall'omonimo manga di Nakayama Masaaki.

Seventh Code (Kurosawa Kiyoshi, 2014).

A questo link, trovate la mia recensione, pubblicata su Sonatine, di Seventh Code di Kurosawa Kiyoshi, che si è aggiudicato il premio alla regia allo scorso Festival del Cinema di Roma e che è una sorta di grosso videoclip sui generis realizzato per un singolo dell'ex AKB48 Maeda Atsuko.

Monsterz (Nakata Hideo, 2014)

A questo link, trovate la mia recensione, pubblicata su Sonatine, di Monsterz (モンスターズ) di Nakata Hideo, regista, tra le altre cose, di Ring e Dark Water, ma anche di Kaidan di cui avevo già parlato sul blog (qui).

Ikigami (Takimoto Tomoyuki, 2008)

A questo link, trovate la mia recensione, pubblicata su Sonatine, di Ikigami: The Ultimate Limit (イキガミ) di Takimoto Tomoyuki, tratto dall'omonimo manga di Matase Motorō pubblicato in Italia da Panini (ma non tradotto da me).

Hallo! Jun'ichi (Ishii Katsuhito, 2014)

A questo link, la mia recensione, pubblicata su Sonatine, di Hallo! Jun'ichi (ハロー!純一 , Hello! Jun'ichi) di Ishii Katsuhito, visto all'ultima edizione del Far East Film Festival.

il futuro del blog

Direi che a questo punto risulta perfettamente chiaro che non ho la costanza di tenere un blog mio. Ma voglio continuare a usarlo come archivio in cui raccogliere le cose che scrivo altrove. Inizio col rimettermi in pari, riportando un po' di recensioni pubblicate su Sonatine negli ultimi mesi.

giovedì 29 maggio 2014

Bilocation (Asato Mari, 2013)

Nei giorni scorsi mi sono dimenticato di aggiornare il blog. Comunque a questo indirizzo trovate una mia recensione, uscita un paio di settimane fa, di Bilocation di Asato Mari, regista di un altro film visto di recente, Gomennasai, che, per quanto derivativo, avevo apprezzato nel suo tentativo di recuperare lo spirito del J-Horror della seconda metà degli anni Novanta. Questo è animato da intenzioni simili ed è forse più ambizioso, ma nel complesso meno riuscito. Visto al 16° Far East Film Festival, anche se in sala video in quanto proiettato successivamente alla mia partenza.

mercoledì 14 maggio 2014

The Snow White Murder Case (Nakamura Yoshihiro, 2014)

Ecco qui la mia recensione per Sonatine di Shirayuki hime satsujin jiken (The Snow White Murder Case) di Nakamura Yoshihiro, proiettato durante la sedicesima edizione del Far East Film. Di cinque film giapponesi visti al festival, tre meritavano particolarmente, e questo è uno.
Degli altri due, il durissimo The Devil's Path di Shiraishi Kazuya e Tamako in Moratorium di Yamashita Nobuhiro, regista a me particolarmente caro che con questo film prosegue il percorso di ritorno alle origini avviato nell'altrettanto bello Drudgery Train (che ho recensito qui), trovate qui e qui le recensioni di Dario Tomasi.
I due meno meritevoli li recensirò a breve.

lunedì 12 maggio 2014

Luoghi e creature d'Oriente: dal fantastico alla fantascienza


Domani parteciperò a un seminario interdisciplinare su fantastico e fantascienza in Oriente organizzato dal Dipartimento Studi Umanistici dell'Università di Torino. Trovate il programma completo a questo indirizzo.

Per quanto mi riguarda, parlerò del fenomeno del J-Horror. In particolare, delle dinamiche tra passato e presente che si sviluppano sia a livello di intreccio sia nel rapporto tra temi, figure e iconografie appartenenti alla tradizione, e il contesto contemporaneo in cui esse prendono vita.

lunedì 28 aprile 2014

Udine Far East Film Festival 16, 28-04-14

Fino a domenica sera ero così preso dal lavoro che mi sono dimenticato di scrivere che da ieri sarei tornato, dopo sette o otto anni (non ricordo bene) al Far East Film Festival di Udine, evento di culto tutto dedicato al cinema popolare asiatico e giunto ormai alla sedicesima edizione.
Il ritorno a Udine dopo tanti anni è stato piacevole e ha rievocato un sacco di bei ricordi. L'atmosfera che si respira qui è, come al solito, estremamente vivace e accogliente, quindi mi fa davvero piacere essere di nuovo qui.
Essendo arrivato tardi, ieri ho fatto in tempo a vedere giusto gli appuntamenti serali: il cinese Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan, e l'hongkonghese 3D Naked Ambition di Lee Kung-lok. Il primo, per quanto abbia vinto l'Orso d'Oro a Berlino, mi è piaciuto solo a tratti. Ho apprezzato la struttura raggelata, spezzata e non lineare che se ne sbatte delle logiche della suspense (difatti si capisce dopo un minuto l'identità del colpevole). Però nulla che mi abbia fatto gridare al capolavoro: alcune belle sequenze buttate lì così, tra alti e bassi, tra personaggi che fanno cose spinti da non sia bene cosa e accenni (pochi ma non troppo sottili) di retorica nostalgica sulla nuova Cina rampante. Sarà anche stata la stanchezza del viaggio, sarà stato il mal di testa, ma non ho capito bene i motivi di tanto entusiasmo. Immensamente meglio del secondo, comunque: una puerile commedia sexy che non fa quasi mai ridere (almeno a me, perché mi è sembrato che la sala apprezzasse), e che deve il suo essere sexy più ai corpi delle sue protagoniste che non alle qualità della regia. Ho riso di più durante la presentazione dell'attore protagonista Chapman To, forse un po' troppo gigione ma simpatico. Per il resto, insulsaggine e noia. Confido nella giornata di oggi!

sabato 19 aprile 2014

Sisters of Musashino Line (Yamamoto Jun'ichi, 2012)

Mese davvero infernale a livello lavorativo, senza contare che poi ci sarà il Far East e un seminario sul cinema fantastico a metà maggio a cui parteciperò con un breve intervento sul J-Horror (poi magari ne parlo più approfonditamente). Quindi di scrivere di ciò che sto vedendo non se ne parla, ma ciò non significa che siano mancate le visioni interessanti, soprattutto nel campo dell'horror e del thriller. Cito solo The Neighbour N.13 di Inoue Yasuo (2004), The Black House di Morita Yoshimitsu (1999), Gomennasai di Asato Mari (2012) e soprattutto Shady di Watanabe Ryōhei (2012). Ai quali si aggiunge il divertentissimo Why Don't You Play in Hell? di Sono Sion (2013), in cui si versa parecchio sangue ma che con l'horror non c'entra niente. Spero di avere il tempo di scrivere due righe su queste opere, in misura diversa tutti meritevoli, prima o poi. Nel frattempo, vi lascio il link di una mia recensione su un film che è davvero una robetta abbastanza insignificante (a tratti pure irritante, devo dire), ma che fa comunque parte di un filone importante a livello commerciale, in questa particolare epoca del cinema giapponese (vedi il post qui sotto). Il film è Sisters of Musashino Line di Yamamoto Jun'ichi (2012), e trovate la mia recensione qui, come sempre su Sonatine.

venerdì 4 aprile 2014

Man/Ei-GA: intermedialità fumetto-cinema nel Giappone contemporaneo

Ieri è uscito su Cinergie un pezzo che ho scritto lo scorso inverno sullo stretto rapporto che il cinema giapponese, sin dalle sue origini ma in particolar modo nel corso degli ultimi dieci-quindici anni (che è appunto il periodo trattato nel saggio), ha instaurato con il manga. Un legame che non si manifesta soltanto nel dilagante fenomeno delle trasposizioni cinematografiche da fumetto, ma si esprime anche nell'aderenza a generi di estrazione non propriamente cinematografica, nonché tramite una palpabile influenza su contenuti, costruzione dei personaggi e bagaglio estetico di una porzione niente affatto irrilevante di film. La vastità del fenomeno esigerebbe senz'altro un'analisi più approfondita, ma il mio breve scritto si pone innanzitutto l'obiettivo di gettare le fondamenta di un discorso su quello che forse è il fenomeno commerciale più evidente del cinema giapponese contemporaneo, partendo dalle dovute premesse che un simile argomento richiede.
Il pezzo lo trovate qui e spero che vi piaccia.

giovedì 27 marzo 2014

Tre film (Kobayashi, Toyoda, Ōmori)

In questo periodo, purtroppo, ho poco tempo per scrivere di cinema, sia qui che su Sonatine. Ciò non significa che abbia smesso di vedere film. Così alterno J-horror raramente capaci di sorprendermi (per ora, tra quelli usciti dopo la metà dei Duemila, direi che emergono solo Noroi Occult di Shiraishi Kōji) a qualcosa di diverso. Perché mi stanno bene i fenomeni interessanti più nell'insieme che per la qualità delle singole opere (tali sono appunto il filone ormai inaridito del J-Horror e il boom dei film tratti da manga, fatte ovviamente le dovute eccezioni), ma ogni tanto sento il bisogno di guardare altrove. Così ho recuperato tre film di altrettanti autori tra i più meritevoli di attenzione, nel panorama del cinema giapponese contemporaneo.

Il primo è Wakaranai: Where Are You? (2009) di Kobayashi Masahiro, una drammatica storia di perdita e abbandono (non solo da parte dei genitori, ma anche e soprattutto della società e delle istituzioni) che ha per protagonista un adolescente tanto fragile quanto determinato, lucidamente consapevole della propria condizione di orfano e reietto, e allo stesso tempo confuso e smarrito circa il proprio avvenire. La macchina da presa, manovrata a spalla, gli sta addosso inseguendolo mentre vaga qua e là guidato dall'istinto di sopravvivenza, per abbandonarlo anch'essa, infine, al proprio incerto destino. Un'inquadratura in particolare ho trovato struggente: quella in cui le sue mani afferrano quella della madre morta, con l'azzurro della barca da lui stesso dipinta a fare da sfondo.


L'isolamento dalla società (volontario, in questo caso) è anche il tema portante del secondo film visto: Monsters Club (2012) di Toyoda Toshiaki, autore che avevo trascurato dopo Pornostar e Blue Spring. Questa sua fatica recente, ambientata in una buia e solitaria baita di montagna immersa in un accecante paesaggio innevato, è chiaramente un film più maturo. In particolar modo ho trovato folgorante la parte iniziale, che prelude alla progressiva saturazione degli spazi da parte dei fantasmi che affollano la mente del protagonista. Un film che merita senz'altro una seconda visione, più approfondita. Nel frattempo, rimando alla scheda di Matteo Boscarol per Sonatine.

Il terzo è The Ravine of Goodbye (2013) di cui trovate una recensione di Dario Tomasi, sempre su Sonatine. Del regista Ōmori Tatsushi avevo visto in passato la sua opera d'esordio: il durissimo The Whispering of the Gods (2005). In questo suo ultimo lavoro i colpi allo stomaco sono assestati in maniera più sottile, ma giungono maggiormente in profondità. Storia di violenze, peccati originali e coppie alla deriva, The Ravine of Goodbye affronta il tema dello stupro in maniera né banale, né puramente decorativa, con esiti tutt'altro che consolatori come a un certo punto si sarebbe portati a pensare. Lo fa attraverso personaggi che mostrano nello sguardo le tracce indelebili dei traumi del passato, e che, pur gravati dal peso di dubbi cruciali, proseguono con ciò che resta delle proprie vite operando scelte difficili e dolorose.

venerdì 14 marzo 2014

J-Horror Theater

Nelle scorse settimane ho completato la visione del cosiddetto "J-Horror Theater", il progetto di sei film (pensato dallo storico produttore del genere Ichise Takashige - Ring, Dark Water, The Grudge) di cui Kaidan di Nakata Hideo, recensito poco più sotto, fa parte. Così, tanto per vedere cos'era stato combinato nel campo del J-Horror nel corso dell'ultimo decennio, dal momento che me ne ero quasi del tutto disinteressato dopo l'indigestione fatta in passato e, soprattutto, dopo i primi segnali che, già nei primi anni Duemila, lasciavano presagire l'inevitabile inaridirsi del filone. Poco alla volta scriverò delle singole recensioni per Sonatine. Per ora segnalo che qualche giorno fa è uscita quella di Premonition di Tsuruta Norio, regista che nel decennio scorso non si è particolarmente distinto, ma di cui ho recuperato con piacere e un po' di sorpresa alcuni dei lavori degli anni Novanta nel campo del V-Cinema - i tre Honto ni atta kowai hanashi  (1991-1992!) e Bōrei gakkyū (1996) - in ragione dei quali è giustamente considerato un pioniere del genere. Qui mi limito a un commento molto generico sull'operazione di Ichise in sé.
Il livello dei singoli film oscilla dal buono al discreto nei casi migliori, ovvero quelli dello stesso Kaidan a cui si aggiungono Retribution di Kurosawa Kiyoshi (che avevo visto all'epoca della sua uscita, ma che conto di riesaminare a breve) e Reincarnation di Shimizu Takashi. Nei casi peggiori, invece si passa dalla pur dignitosa mediocrità di Premonition all'irritante sciatteria di Infection, concludendo con il senso di rammarico per lo scadente  risultato di The Sylvian Experiments, girato dallo sceneggiatore di Ring e Dark Water Takahashi Hiroshi e senza dubbio il più velleitario dei sei.
Un progetto, come ho già scritto, realizzato fuori tempo massimo giusto per raccogliere quel che ancora restava da grattare dopo i sequel, i cloni, i remake, le contaminazioni intermediali e le varie emanazioni locali, asiatiche e internazionali. È abbastanza evidente che il senso dell'operazione era quello di sfruttare l'ondata di interesse per l'horror asiatico sollevatasi sotto la spinta dei remake hollwoodiani, per ribadire su scala internazionale la paternità del genere e chiudere così il cerchio. Idealmente, se ne fossero usciti dei capolavori alla Dark Water o Pulse, sarebbe stata la chiosa perfetta. Un modo pulito per riportare Sadako e compagnia bella a casa dopo il suo viaggio in giro per il mondo. Purtroppo i registi sembrano i primi a essere consci del fatto che, giunti a quel punto, il J-Horror non aveva più niente da dire, vista la poca convinzione che profondono nei rispettivi contributi. I quali, anche nei casi più riusciti, non raggiungono il livello delle loro opere precedenti. Insomma, esattamente la roba un po' forzata che ci si poteva aspettare da un progetto del genere. Il J-Horror era nato in seno a realtà minori e a basso budget come i film per la TV o per il mercato video: realtà produttive caratterizzate da un'agilità, da un'immediatezza e da una povertà di mezzi che erano esse stesse ingredienti essenziali della sua ricetta di successo. I progetti in grande stile, salvo eccezioni, forse non gli si addicono troppo.

lunedì 24 febbraio 2014

The Ravaged House - Zoroku's Disease (Kumakiri Kazuyoshi, 2004)

Siccome sto preparando una cosa sul J-Horror, ultimamente sto recuperando qualche film dell'orrore giapponese che mi ero perso negli ultimi anni, accompagnandone la visione con la lettura di alcuni saggi critici usciti successivamente al mio libro sul fenomeno (pubblicato "a caldo" nel 2005 - lo trovate in fondo alla colonna sulla destra). Finora ho visto poca roba veramente interessante, confermando così l'impressione che quello del J-Horror sia, salvo casi eccezionali, un fenomeno prosciugatosi da quasi un decennio, ormai. Un paio di chicche degne di nota però le ho intercettate, e Norowareta ie - Zoroku no kibyō (Ravaged House - Zoroku's Disease, 2004) di Kumakiri Kazuyoshi è una di queste. Un mediometraggio tra il primo Cronenberg, Lynch e Ozu, tanto per spararla grossa. Ne ho scritto una recensione per Sonatine a questo indirizzo, se vi interessa.

venerdì 14 febbraio 2014

Wild Berries (Nishikawa Miwa, 2003)

Riporto qui il link alla mia scheda su Sonatine di Hebi ichigo (Wild Berries, 2003) di Nishikawa Miwa, notevole opera d'esordio di una delle più interessanti tra le numerose cineaste giapponesi salite alla ribalta nel corso degli anni Duemila. Sulla scia di Kawase Naomi, verrebbe da dire, ma sarebbe una generalizzazione fuorviante (oltre che vagamente sessista) visto che il cinema di Nishikawa, così come quello di Ogigami Naoko, Tanada Yuki e Ninagawa Mika, c'entra poco o nulla con quello della più celebre (soprattutto all'estero) cineasta giapponese donna, e non renderebbe giustizia all'eterogeneità del fenomeno.

mercoledì 12 febbraio 2014

Kaidan (Nakata Hideo, 2007)

Kaidan (aka Apparition - Amare oltre la morte)
Nakata Hideo, 2007

Sceneggiatura: Okudera Satoko (da un racconto di Enchō San’yūtei); Fotografia: Hayashi Jun’ichirō; Suono: Nonaka Hidetoshi; Scenografie: Taneda Yohei; Trucco: Matsui Yūichi; Effetti speciali: Sashiura Hidekazu; Montaggio: Takahashi Nobuyuki; Musiche: Kawai Kenji; Interpreti: Onoe Kikunosuke (Shinkichi), Kuroki Hitomi (Oshiga), Inoue Mao (Ohisa), Asō Kumiko (Osono); Produzione: Ichise Takashige, Sakamoto Jun’ichi per Oz; Durata: 115’; Prima proiezione: 4 agosto 2007.

Soetsu, un agopuntore recatosi da un arrogante samurai per riscuotere un debito, viene ucciso da questi con un fendente in pieno volto e poi gettato in uno stagno su cui grava una maledizione. Invano le due figlie dell’uomo, Oshiga e Osono, attenderanno il ritorno del padre, ma un destino ugualmente tragico spetta al samurai, il quale impazzirà di lì a poco, facendo strage della famiglia e lasciandosi dietro solo il figlio neonato: Shinkichi. Gli anni trascorrono, e Shinkichi, trasferitosi nella capitale Edo e ora divenuto un bel giovane, si innamora di Oshiga, inconsapevole della sua identità. La donna, anch’ella ignara del fatto che Shinkichi sia figlio dell’assassino di suo padre, ricambia presto il suo amore, ma mostra un attaccamento e una gelosia eccessivi nei suoi confronti, tali da generare una piccola lite durante la quale lei, come già suo padre, si ferisce inavvertitamente il volto. L’orrenda infezione che ne deriva peggiora di giorno in giorno, finché la donna muore senza l’amato al suo fianco: il ragazzo, infatti, sentendosi oppresso dalla malattia e dalla gelosia di Oshiga, si trova in quel momento in compagnia della più giovane Ohisa. Per quanto scosso dalla morte di Oshiga, che gli appare come fantasma e gli lascia un minaccioso biglietto in cui lo intima di non sposare altre donne, Shinkichi si decide lo stesso a partire con Ohisa verso il paese natio. Senonché, il fantasma della defunta lo spinge, provocandogli un’allucinazione, a strangolare la ragazza presso lo stesso stagno in cui era stato gettato Soetsu. Shinkichi si salva e, col passare del tempo, si rifà una vita anche grazie all’aiuto della ritrovata Osono, sposando infine un’altra donna e proponendosi di esserle sempre fedele per espiare le proprie colpe passate. Ma i buoni propositi non bastano, e la maledizione di Oshiga non abbandona l’uomo, il quale finirà tragicamente, insieme alla moglie e alla figlia neonata, per poi ricongiungersi, nella morte, all’amata di un tempo.


Il contributo di Nakata Hideo alla serie di sei film “J-Horror Theatre” (ideata - a dire il vero un po’ in ritardo sui tempi - dal produttore Ichise Takashige allo scopo di esportare sulla scena internazionale i nomi dei principali artefici del J-Horror sfruttando la risonanza planetaria offerta dal controverso fenomeno dei remake hollywoodiani), è un rispettoso omaggio alle origini del suo cinema: la letteratura kaidan e il genere cinematografico che ne è derivato, il quale ha conosciuto la sua epoca d’oro a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, e ha trovato, incursioni d’autore a parte, in Nakagawa Nobuo il suo esponente di maggior spicco. In anni nei quali appariva ormai stagnante e ampiamente inflazionato il panorama del J-Horror, fenomeno cinematografico fortemente caratterizzato da insistiti riferimenti a una contemporaneità che prende forma nei suoi feticci tecnologici in continua evoluzione (videocassette, internet, cellulari, fotografie digitali), l’operazione quasi filologica di riscoperta delle sue radici operata da Nakata, che di tale fenomeno è stato uno dei protagonisti indiscussi, non risulta affatto scontata e appare come un sincero tentativo, per quanto non pienamente riuscito, di scrollarsi di dosso il peso di cliché ormai triti e banalizzazioni varie per tornare alle illustri origini del genere e ribadirne l’impronta autoctona. Nel riportare sugli schermi il classico della letteratura kaidan firmato da Enchō San’yūtei, Kasane-ga-fuchi, già tradotto innumerevoli volte per il cinema e la televisione (anche dallo stesso Nakagawa, nel 1957), Nakata non si discosta quasi mai dai dettami di questo peculiarissimo genere cinematografico intimamente legato alla letteratura del periodo Edo e al teatro kabuki, limitando a poche scene di terrore le concessioni all’horror moderno. Il risultato è un film raffinato e suadente, forse ancor più vicino, nelle atmosfere, al suo omonimo del 1964 diretto da Kobayashi Masaki. I movimenti di camera lenti e avvolgenti (come le serpi che compaiono nel film, quasi a ricordare una delle figure più note del kaidan: la donna serpente), solo qua e là bruscamente interrotti da shock visivi e sonori di più recente ispirazione, bene incarnano la miscela di melodramma passionale, sottile inquietudine e opprimente fatalismo che caratterizzava il cinema kaidan (e che Nakata ha poi efficacemente tradotto al presente in uno dei suoi film migliori: Dark Water). Il personaggio di Shinkichi in primis, interpretato dall’attore di kabuki Onoe Kikunosuke, il cui trucco e la cui recitazione rimandano direttamente alle forti influenze che questa forma di teatro esercitava sui jidai-geki del passato, contribuisce a donare a questo film un aspetto fuori dal tempo. Un’operazione forse fine a se stessa e che difficilmente scuoterà gli animi dello spettatore di oggi (a eccezione della scena della neonata defunta, comunque di forte impatto), ma non per questo priva di fascino.

martedì 11 febbraio 2014

Sì, lo so.

Mi rendo perfettamente conto del fatto che la scritta qui in alto dice che qui dovrei anche parlare di manga, mentre sinora ho parlato praticamente solo di film (al massimo di film tratti da manga, quello sì).
Mi inventerò qualcosa. Magari potrei parlare del mio lavoro, visto che tra un paio di mesi saranno trascorsi dieci anni da quando l'ho iniziato. Potrei spiegare cosa significa tradurre e adattare un manga in italiano.

lunedì 10 febbraio 2014

R100 (Matsumoto Hitoshi, 2013)

Siccome non riuscivo a dormire, ieri mattina ne ho approfittato per guardarmi un film che ero abbastanza smanioso di vedere, dal momento che l'autore, il celebre comico Matsumoto Hitoshi altrimenti noto come Matchan, è forse il regista giapponese che, negli ultimi anni, ha saputo sorprendermi maggiormente. Il film è R100, e ne trovate una recensione su Sonatine (a firma di Dario Tomasi). La quarta fatica di Matsumoto è ambientata nel mondo dei club sado-maso, ed è pertanto tematicamente assai distante dal precedente Saya-zamurai (che era un jidai-geki sui generis), ma si colloca in maniera perfettamente coerente rispetto al resto della sua filmografia, nel suo raccontare la storia di un antieroe triste, sfigato e bistrattato che, in un certo senso, si riscatta attraverso un quanto mai inconsueto percorso di "sublimazione". Anche questa volta, tale percorso si snoda lungo una serie di prove assurde e umiliazioni a cui il protagonista viene sottoposto. Inoltre, come avveniva in Symbol, la storia del protagonista è affiancata da un'altra vicenda che si dipana su un diverso livello narrativo (in Symbol era la storia del wrester messicano, qui quella del regista centenario a cui viene attribuita la paternità del girato, in una serie di scene che contrappuntano la visione del film commentandone ironicamente i contenuti). Rispetto agli altri lavori di Matsumoto, ho avuto l'impressione che, nel complesso, R100 manchi di coesione e di una direzione precisa, e che le trovate geniali del regista non sempre vengano sviluppate al meglio trovando una collocazione coerente e ben amalgamata all'interno del film, il che conferisce all'opera, soprattutto nella seconda parte, una certa frammentarietà e sconclusionatezza che solo parzialmente è giustificata dall'escamotage metacinematografico degli spezzoni di film visionati dalla commissione preposta a giudicare l'opera del centenario regista. C'è anche da dire che, in alcuni punti della seconda parte, si ha l'impressione che la pur sempre notevole verve pop, visionaria e surreale di Matsumoto si adagi su territori lievemente meno originali (in quanto già battuti da cineasti come Miike Takashi, Ishii Katsuhito, Sono Sion e Suzuki Matsuo) rispetto ai suoi standard. Ma sono difetti minimi, e basta la scena del rigo musicale ad attestare l'unicità della cifra stilistica del Matchan regista (nella speranza che questo genere di climax non diventi maniera) e la sua peculiarissima capacità di trascendere il semplice farsesco. In ogni caso, personalmente l'ho preferito a Saaya-zamurai, verso il quale forse nutrivo aspettative eccessive (contrariamente a questo film, da cui  invece temevo una delusione).

mercoledì 5 febbraio 2014

A Ghost of a Chance (Mitani Kōki, 2011)

Tanto per cambiare un po' genere, questa settimana mi sono guardato, a puntate come purtroppo sono spesso costretto a fare, Sutekina kanashibari (A Ghost of a Chance, 2011) di Mitani Kōki, regista di un certo successo di cui finora non avevo mai visto nulla. Ne trovate una scheda più approfondita (a firma di Franco Picollo) su Sonatine. Io mi limito a dire che si tratta di una commedia fantastico-sentimentale ambientata in tribunale, dalla confezione molto classica ma indubbiamente ben orchestrata nel suo aderire perfettamente ai propri (dichiarati, dato che Capra viene menzionato esplicitamente e pure con una certa insistenza) canoni di riferimento. Il rovescio della medaglia è che per forza di cose risulta notevolmente datata e meccanica nello svolgimento (sia a livello di soluzioni narrative che di gag, ma anche nella caratterizzazione dei personaggi), ma ciò non toglie che vi compaiano tre o quattro scene azzeccate e sinceramente divertenti (forse un po' poco, per un film di due ore e venti). Un film tutto sommato godibile, quindi, al cui risultato concorre anche l'affiatamento dell'ottimo cast.

giovedì 30 gennaio 2014

Girlfriend: Someone Please Stop the World (Hiroki Ryūichi, 2004)

Avendo scarsa memoria, di solito ho bisogno di segnarmi qualche appunto durante la visione di un film, per scriverne. Non sempre lo faccio, perché i film vorrei anche godermeli. Questo me lo sono goduto, quindi sarò breve.
Hiroki Ryūichi è uno dei nomi più interessanti del cinema giapponese degli anni Duemila, in particolare della prima metà del decennio. Di suo, sinora avevo solo visto Tōkyō gomi onna (Tokyo Trash Baby, 2000) e Vibrator (2003). Mi erano piaciuti entrambi, soprattutto il secondo (che, sorvolando su qualche inserto musicale così così, godeva di un soggetto piuttosto originale, di almeno una scena stupenda che ricordo ancora a distanza di dieci anni, nonché dell'ottima interpretazione di Terajima Shinobu). Per questo motivo, era da tempo che mi ripromettevo di approfondire la mia conoscenza di questo regista.
Dei tre visti sinora, forse Girlfriend è quello che mi è piaciuto di più. Un film asciutto ma per nulla arido, strutturato con una certa libertà e, per quanto si inserisca in un filone tematico (che però segue anche determinati canoni stilistici) che ha una certa ricorrenza nel cinema giapponese degli anni Duemila, mai scontatamente pruriginoso né sciattamente banale nel descrivere un legame di profonda intimità tra due giovani donne (a differenza di film assai più traballanti, nell'affrontare lo stesso tema, quali Love My Life di Kawano Kōji e Kakera: A Piece of Our Life di Andō Momoko). Un film che rivela una sorprendente sensibilità del regista nei confronti della sfera femminile, tanto che, banalizzando, diresti quasi che ci sia una donna dietro la macchina da presa (un'impressione che, a dire il vero, avevo già avuto con un'altra pellicola che legava i destini di ventenni animate da ambizioni diverse: Strawberry Shortcakes di Yamazaki Hitoshi). 

lunedì 27 gennaio 2014

Beautiful New Bay Area Project (Kurosawa Kiyoshi, 2013)

Lo scorso novembre è stata presentata al festival di Roma l'ultima fatica di Kurosawa Kiyoshi: Seventh Code (premio per la miglior regia). Per l'occasione, è stato anche proiettato questo cortometraggio, realizzato nell'ambito di un progetto a più mani che ha coinvolto altri registi asiatici. Ne ho scritto su Sonatine a questo indirizzo.
Il film potete vederlo per intero direttamente qui sotto (senza sottotitoli, ma quel poco che c'è da capire lo si può leggere nella sinossi della mia scheda.)



venerdì 24 gennaio 2014

Penance (Kurosawa Kiyoshi, 2012)

Ieri sera ho finito di vedere Penance (Shokuzai - The Atonement, 2012), la mini-serie televisiva realizzata da Kurosawa Kiyoshi a partire da un romanzo di Minato Kanae (di cui in Italia è stato pubblicato Confessione, dal quale Nakashima Tetsuya ha a sua volta tratto l'omonimo film uscito anche nelle nostre sale). Rimando allo speciale di Sonatine (su cui ogni singolo episodio è stato recensito singolarmente) per una lettura più approfondita.
La mia personale impressione è che, se nei primi quattro episodi Kurosawa torna alla grande su territori già affrontati una decina di anni prima in Seance (Kōrei, 2000), altra trasposizione televisiva, nell'ultimo si faccia troppo ingombrante la presenza del romanzo. Può darsi che gli interminabili dialoghi con il poliziotto, durante i quali la protagonista ci spiega per filo e per segno i fatti del passato che l'hanno condotta sino a quel punto (un intreccio peraltro poco plausibile, in cui la fanno da padrona il caso e alcuni colpi di scena non troppo ben orchestrati a livello di sceneggiatura), siano dovuti semplicemente a ragioni di chiarezza legate al format della serie TV e ai canoni del giallo. Fatto sta che ne risulta un certo effetto di ridondanza, rispetto a quanto Kurosawa già ci aveva, assai più sottilmente, suggerito nel corso degli episodi precedenti e all'inizio di questo stesso.
Il cinema di Kurosawa è sempre stato un cinema che portava in campo innanzitutto gli effetti degli eventi eclatanti che scuotono i suoi universi, tralasciandone deliberatamente le cause. Ed è per questo che il regista sembra decisamente più a suo agio nei primi quattro episodi, nel corso dei quali, con efficace parsimonia e più attraverso scelte di regia che non tramite i dialoghi, dà ampio spazio alle conseguenze del fatto traumatico sulle quattro bambine, ora adulte. A quel punto, dei motivi che hanno generato il folle e tragico episodio, non ci interessa più di tanto.
Per quanto mi riguarda, ho trovato particolarmente interessanti il primo e il quarto episodio. Il primo perché è forse quello più "kurosawiano". Viceversa, il quarto perché è quello che, almeno all'apparenza, si distanzia di più dal suo mondo (potrei sbagliarmi, ma credo che quella del quarto episodio sia la prima scena di sesso girata dal regista dopo i suoi due pink eiga degli esordi - almeno io non ne ricordo altre).

sabato 18 gennaio 2014

il blog riprende

I motivi della mia recente latitanza da questo blog sono sostanzialmente due.
Il primo è che ero già impegnato a scrivere un saggio sulla relazione che il cinema giapponese contemporaneo intreccia con il manga (il che spiega anche la natura di quasi tutti i film trattati su questo neonato blog). Tra quello (che dovrebbe uscire in primavera) e il lavoro, non mi restava più tempo per curare anche il blog. Nel prossimo post, magari, farò un breve excursus sulle opere più significative visionate nelle ultime settimane.
L'altro motivo è che Blogger ha magicamente deciso di formattare il mio ultimo post con sfondo bianco (vedremo come uscirà questo), ed essendo io informaticamente pigro, non avevo nessuna voglia di mettermi lì a risolvere il problema. Nei prossimi giorni cercherò di fare anche quello.
Quindi, insomma, la prossima settimana il blog riparte.

P.S.: Ah, questo post qui è venuto normale. Misteri di Blogger.
P.P.S.: Problema risolto.