mercoledì 12 febbraio 2014

Kaidan (Nakata Hideo, 2007)

Kaidan (aka Apparition - Amare oltre la morte)
Nakata Hideo, 2007

Sceneggiatura: Okudera Satoko (da un racconto di Enchō San’yūtei); Fotografia: Hayashi Jun’ichirō; Suono: Nonaka Hidetoshi; Scenografie: Taneda Yohei; Trucco: Matsui Yūichi; Effetti speciali: Sashiura Hidekazu; Montaggio: Takahashi Nobuyuki; Musiche: Kawai Kenji; Interpreti: Onoe Kikunosuke (Shinkichi), Kuroki Hitomi (Oshiga), Inoue Mao (Ohisa), Asō Kumiko (Osono); Produzione: Ichise Takashige, Sakamoto Jun’ichi per Oz; Durata: 115’; Prima proiezione: 4 agosto 2007.

Soetsu, un agopuntore recatosi da un arrogante samurai per riscuotere un debito, viene ucciso da questi con un fendente in pieno volto e poi gettato in uno stagno su cui grava una maledizione. Invano le due figlie dell’uomo, Oshiga e Osono, attenderanno il ritorno del padre, ma un destino ugualmente tragico spetta al samurai, il quale impazzirà di lì a poco, facendo strage della famiglia e lasciandosi dietro solo il figlio neonato: Shinkichi. Gli anni trascorrono, e Shinkichi, trasferitosi nella capitale Edo e ora divenuto un bel giovane, si innamora di Oshiga, inconsapevole della sua identità. La donna, anch’ella ignara del fatto che Shinkichi sia figlio dell’assassino di suo padre, ricambia presto il suo amore, ma mostra un attaccamento e una gelosia eccessivi nei suoi confronti, tali da generare una piccola lite durante la quale lei, come già suo padre, si ferisce inavvertitamente il volto. L’orrenda infezione che ne deriva peggiora di giorno in giorno, finché la donna muore senza l’amato al suo fianco: il ragazzo, infatti, sentendosi oppresso dalla malattia e dalla gelosia di Oshiga, si trova in quel momento in compagnia della più giovane Ohisa. Per quanto scosso dalla morte di Oshiga, che gli appare come fantasma e gli lascia un minaccioso biglietto in cui lo intima di non sposare altre donne, Shinkichi si decide lo stesso a partire con Ohisa verso il paese natio. Senonché, il fantasma della defunta lo spinge, provocandogli un’allucinazione, a strangolare la ragazza presso lo stesso stagno in cui era stato gettato Soetsu. Shinkichi si salva e, col passare del tempo, si rifà una vita anche grazie all’aiuto della ritrovata Osono, sposando infine un’altra donna e proponendosi di esserle sempre fedele per espiare le proprie colpe passate. Ma i buoni propositi non bastano, e la maledizione di Oshiga non abbandona l’uomo, il quale finirà tragicamente, insieme alla moglie e alla figlia neonata, per poi ricongiungersi, nella morte, all’amata di un tempo.


Il contributo di Nakata Hideo alla serie di sei film “J-Horror Theatre” (ideata - a dire il vero un po’ in ritardo sui tempi - dal produttore Ichise Takashige allo scopo di esportare sulla scena internazionale i nomi dei principali artefici del J-Horror sfruttando la risonanza planetaria offerta dal controverso fenomeno dei remake hollywoodiani), è un rispettoso omaggio alle origini del suo cinema: la letteratura kaidan e il genere cinematografico che ne è derivato, il quale ha conosciuto la sua epoca d’oro a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, e ha trovato, incursioni d’autore a parte, in Nakagawa Nobuo il suo esponente di maggior spicco. In anni nei quali appariva ormai stagnante e ampiamente inflazionato il panorama del J-Horror, fenomeno cinematografico fortemente caratterizzato da insistiti riferimenti a una contemporaneità che prende forma nei suoi feticci tecnologici in continua evoluzione (videocassette, internet, cellulari, fotografie digitali), l’operazione quasi filologica di riscoperta delle sue radici operata da Nakata, che di tale fenomeno è stato uno dei protagonisti indiscussi, non risulta affatto scontata e appare come un sincero tentativo, per quanto non pienamente riuscito, di scrollarsi di dosso il peso di cliché ormai triti e banalizzazioni varie per tornare alle illustri origini del genere e ribadirne l’impronta autoctona. Nel riportare sugli schermi il classico della letteratura kaidan firmato da Enchō San’yūtei, Kasane-ga-fuchi, già tradotto innumerevoli volte per il cinema e la televisione (anche dallo stesso Nakagawa, nel 1957), Nakata non si discosta quasi mai dai dettami di questo peculiarissimo genere cinematografico intimamente legato alla letteratura del periodo Edo e al teatro kabuki, limitando a poche scene di terrore le concessioni all’horror moderno. Il risultato è un film raffinato e suadente, forse ancor più vicino, nelle atmosfere, al suo omonimo del 1964 diretto da Kobayashi Masaki. I movimenti di camera lenti e avvolgenti (come le serpi che compaiono nel film, quasi a ricordare una delle figure più note del kaidan: la donna serpente), solo qua e là bruscamente interrotti da shock visivi e sonori di più recente ispirazione, bene incarnano la miscela di melodramma passionale, sottile inquietudine e opprimente fatalismo che caratterizzava il cinema kaidan (e che Nakata ha poi efficacemente tradotto al presente in uno dei suoi film migliori: Dark Water). Il personaggio di Shinkichi in primis, interpretato dall’attore di kabuki Onoe Kikunosuke, il cui trucco e la cui recitazione rimandano direttamente alle forti influenze che questa forma di teatro esercitava sui jidai-geki del passato, contribuisce a donare a questo film un aspetto fuori dal tempo. Un’operazione forse fine a se stessa e che difficilmente scuoterà gli animi dello spettatore di oggi (a eccezione della scena della neonata defunta, comunque di forte impatto), ma non per questo priva di fascino.

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